L’Italia è un paese bellissimo, culla dell’arte e della bellezza. Una penisola che ha vissuto epoche e stagioni degne da ricordare sui libri di storia – patria della buona cucina, dell’ottima musica, di grandi geni ed artisti e di tante cose che nel bene o nel male anche negli ultimi anni l’hanno resa degna di […]
L’Italia è un paese bellissimo, culla dell’arte e della bellezza. Una penisola che ha vissuto epoche e stagioni degne da ricordare sui libri di storia – patria della buona cucina, dell’ottima musica, di grandi geni ed artisti e di tante cose che nel bene o nel male anche negli ultimi anni l’hanno resa degna di nota.
Eppure l’Italia del 2018 non può considerarsi un paese moderno e cosmopolita – c’è ancora troppa arretratezza derivata da quella educazione medio borghese che le generazioni dei nostri padri ha difeso con le unghie e coi denti. Generazioni legate al posto fisso, il cui valore principale era la casa, la pensione, le vacanze d’estate ed i pochi diritti di una società fatta di pallide figure in penombra. Generazioni represse che hanno attraversano l’incubo della loro quotidiana sopravvivenza accantonando le proprie attitudini, la propria individualità e le loro inclinazioni per adattarsi a quelle dinamiche che donano un senso di tranquillità, apparente sicurezza e prevedibilità. Da tutto questo non può che nascere un senso di frustrazione alimentata da invidia, paura del diverso, chiusura mentale e resistenza al cambiamento.
Piccoli risparmiatori che sognano una vita diversa e che delegano alla schedina e ai gratta e vinci l’unica possibilità per evadere dalla loro condizione esistenziale, borghesi arricchiti che devono ostentare il loro privilegio perché non riescono a scrollarsi di dosso la povertà d’animo in cui versano ed infine critiche esangui verso chi esce dagli standard di una società disfunzionale, ammalata di un male tutelato e difeso.
Perché l’Italia è un paese borghese? Perché è ancora assoggettata dal controllo della generazione dei nostri padri, che non vuole arrendersi, che non sa andare in pensione e lasciare spazio al nuovo che avanza. La vecchia guardia c’è ovunque, nel vicino di casa scontento della propria vita che sfoga la propria frustrazione in chi sa quale evasione, nel vecchio titolare d’azienda che ha viziato i propri figli con una educazione nutrita di superficialità – e che ora non ha la forza di accettare il ricambio generazionale. La vecchia guardia ricopre i ruoli chiave della società, a livello politico, nella scuola, nella cultura – è dentro la nostra famiglia, è dentro di noi, in quella voce che ci rende diffidenti verso il cambiamento e che ci fa preferire la critica al dubbio, la sicurezza alla novità e la normalità alla eccezionalità.
Non credo ci sia bisogno di una rivoluzione, basta attendere, forse non sarà in questa e nemmeno nella prossima generazione – ma arriverà il momento in cui anche il nostro paese dovrà confrontarsi con un modello del tutto diverso, i giovani di oggi stanno già interpretando inconsapevolmente che qualcosa sta cambiando – l’unica speranza è che non sia la vecchia guardia a formarli e plasmare i borghesi di domani.